La chiesa di Sant’ Ippolisto Martire di Atripalda è certamente il primo luogo di culto delle genti irpine .La chiesa ingloba lo Specus Martyrum (cimitero paleocristiano di Abellinum ) le sue origini sono remote, sorge dapprima come basilichetta, sulla cripta dei martiri, poi assume sempre più importanza nel corso dei secoli.
Le prime notizie documentabili risalgono al XI secolo, in un atto del 1098 il normanno Ubone, nel donare una terra alla chiesa di S. Maria, cita, tra i confini, la “ ecclesia Sancti Ippolisti ”
Nel 1585, dopo lunghe dispute, i canonici avellinesi rinunciarono agli antichi diritti ecclesiastici e la parrocchia di Atripalda diventa autonoma, viene eretta in collegiata nel 1598, servita inizialmente da 6 canonici, passati poi a 19. Nel corso della storia, viene più volte rimaneggiata, conservava , prima del sisma dell’80 l’aspetto del restauro compiuto nel 1852.
L’attività pittorica di Michele Ricciardi è circoscritta tra la tela di San Nicola a Giovi (1694) e l’Assunta della Congrega del Rosario di Fisciano (1753) ed è legata prevalentemente alla committenza francescana. La maggior parte della sua vasta produzione pittorica si trova tra le provincie di Avellino e Salerno, Bracigliano (1700), Montoro (1703), Serino (1709), Sant’Angelo dei Lombardi (1711), Mercato San Severino (1731), Campagna……. Intorno al 1740 realizza la Consegna delle chiavi, raro esempio di bozzetto realizzato dal pittore per un soffitto.
Nel 1728 Ricciardi ebbe l’incarico di affrescare, nello stesso anno di costruzione, la Cappella del Tesoro dello Specus Martyrum di Atripalda. Il pittore originario di Penta (SA) era nel pieno della sua maturità artistica e pur svolgendo la sua attività in ambito provinciale è informato sulle correnti artistiche napoletane; conosce certamente le opere degli artisti irpini Solimena e Guarino, e si ispira soprattutto alla sensibilità di Luca Giordano per le descrizioni particolareggiate di elementi decorativi e simbolici.
La chiesa presenta un impianto architettonico cinquecentesco. Fu realizzata infatti nel sedicesimo secolo sulla preesistente basilica paleocristiana, quando Atripalda assunse notevole importanza diventando autonoma rispetto ad Avellino, acquistando tra l’altro una propria fisionomia urbanistica evolvente si continuamente all’interno della cinta muraria.
La chiesa è preceduta da un’ampia scalinata in pietra, la facciata di stile romanico è in pietra nella parte inferiore e in tufo piperno nero nella superiore. Il portale centrale è inquadrato in mezzo a quattro lesene appena rilevate sul resto della facciata. Nella lunetta sovrastante il portale si trova un affresco.
Nella parte superiore della facciata si apre un finestrone contornato da due nicchie nelle quali sono allogate le statue in terracotta di S. Sabino e di S. Ippolisto. Le due porte laterali invece sono un poco arretrate.
L’interno ha una pianta a croce latina a tre navate. I pilastri della navata centrale sono realizzati in blocchi di pietra calcarea squadrata; rispetto all’impianto cinquecentesco la pianta della chiesa presenta una asimmetria dovuta alla presenza del campanile nella zona sinistra.
Alle spalle dell’altare maggiore si osserva la tela del “Martirio di S. Ippolisto”, opera del pittore napoletano Niccolò La Volpe (1852) che sostituì l’altra tela deliberata nel 1828 e commissionata al pittore napoletano Geremia Iannone. Sarebbe interessante conoscere la fine di detta tela il cui pagamento era stato effettuato dal Decurionato di Atripalda. Vari interventi di restauro quindi si susseguirono nel secolo XIX.
Nel 1811 riguardarono la copertura che, secondo l’ing. Giuseppe Rossi del Corpo Reale di ponti e strade, aveva bisogno di “essere dipinta a cassettoni chiaro scuro analoga allo stucco”, riparazioni occorrevano anche per “il piede dell’organo e la costruzione del Cappellone del SSmo”. (ARCHIVIO DI STATO AVELLINO, FONDO PREFETTURA, INV.II, VOL. 100, FASC. 1324).
Furono anche effettuati i lavori di stucco, secondo l’ordine Corinzio, alla navata centrale e alle due laterali, alla crociera e al coro sotto la direzione del regio architetto Giacomo Baratta e furono commissionati quattro finestroni “per non far danneggiare il nuovo stucco dall’umido della notte” al maestro Gaetano Libertino.
Nel 1848 si attuò la costruzione del soffitto della navata centrale a cassettoni esagonali modellati in cartapesta; furono apportate modifiche al campanile per poter installare il nuovo orologio, formando una loggiatina con ringhiera di ferro; si risistemarono gli altari sotto il titolo del Cuore di Gesù e S. Francesco di Paola perché essendo molto sporti, impedivano il passaggio tra le navate laterali e le ringhiere di ferro del succorpo, fu anche ridipinto il soffitto del Cappellone.
La chiesa quindi, più volte rimaneggiata nel corso della sua storia plurisecolare, conserva sostanzialmente l’aspetto che le fu dato col restauro compiuto nel 1852 quando fu dotata anche di un nuovo, modernissimo e maestoso organo ordinato all’organista napoletano Vincenzo Petrucci per la somma di ben 1900 ducati.
Approssimativamente l’altare della celebrazione eucaristica della chiesa superiore corrisponde all’area dei martiri secondo il criterio molto antico adottato ben presto dai cristiani.
Recenti sondaggi compiuti prima del terremoto del 1980 avevano portato alla luce le originarie e massicce colonne romaniche in pietra viva delle navate, ricoperte nell’800 da strati di tufi e di stucchi.
Il disastroso terremoto abbattutosi su Irpinia e Basilicata il 23 novembre 1980 ha causato gravissimi danni anche a tutta la struttura della chiesa: crollo totale del transetto con le sue sovrabbondanti capriate in cemento armato , frutto dell’intervento statico effettuato in seguito al terremoto del 1930; crollo del catino absidale e del pilastro a destra del transetto con le quattro volte che su di esso poggiavano: due della navata centrale e due della navata laterale destra; distacco della parte alta della facciata settecentesca dai muri longitudinali. Dissesti su tutti gli archi della navata centrale. Notevoli i danni del campanile tanto da richiedere l’abbattimento del terzo ordine. (G. VILLANI, Restauro in Irpinia pago 20)
Lenta e faticosa è stata l’opera della ricostruzione e del restauro della chiesa con soluzioni a dir poco estrose da parte del progettista che hanno letteralmente stravolto l’armonia della chiesa.
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